Definizione della comunione

Si ha comunione quando un diritto (generalmente reale) ha più di un titolare: come specifica la Corte di Cassazione (sentenza n. 1062 del 18 gennaio 2011), la comunione “impone una disciplina dettagliata dei diritti e degli obblighi esistenti in capo a ciascun partecipante, allo scopo, da un lato, di agevolare i rapporti interpersonali e garantire la realizzazione degli interessi dei singoli e, dall’altro, di consentire il migliore e pacifico utilizzo della cosa comune”.

Si occupano della comunione gli articoli che vanno dal 1100 al 1116 del Codice civile.

Caratteristiche della comunione

La comunione si esplica attraverso l’uso comune del bene in comunione: l’articolo 1102 del Codice civile, al primo comma, contiene la regola fondamentale per quanto attiene a detto uso (che poi è regola applicabile anche alle parti comuni del condominio): “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.

Per “pari uso” si intende la facoltà di ciascun comunista (comproprietario) di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia “compatibile con i diritti degli altri partecipanti alla comunione” (confronta, tra le varie pronunce, Cass. civ., sentenza n. 15523 del 14 luglio 2011).

“Pari uso” non significa, secondo la Giurisprudenza, “assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario (…) nel tempo e nello spazio”: in parole povere, non vuol dire che tutti i comproprietari possano servirsi della stessa cosa allo stesso momento, giacché questo significherebbe – di fatto – impossibilità di uso per tutti; pari uso significa, al contrario, divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio (confronta, tra le altre, Cass. civ., sentenza n. 8429 del 11 aprile 2006).

“Non alterare la destinazione” vuol dire, inoltre, non apportare modifiche che incidano sulla sostanza e struttura del bene, pregiudicando in tutto o in parte la facoltà d’uso degli altri partecipanti; vuol dire, pertanto, non andare “oltre” quel limite implicito nell’uso della cosa da renderla inservibile, alla stessa maniera e anche potenzialmente, da parte degli altri partecipanti.

Il concetto di quota e i diritti sulle quote

Secondo l’articolo 1101 del Codice civile, la quota determina la misura in cui ogni comproprietario partecipa sia ai vantaggi sia agli svantaggi (pesi) della comunione; i vantaggi consistono nella facoltà di godimento e di servizio della cosa (in pratica, di utilizzare il bene in comunione – con i limiti visti sopra), gli svantaggi si riassumono nell’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione, il godimento ed, eventualmente, per il miglioramento della cosa comune.

Alle spese ciascun comunista partecipa in proporzione alla sua quota (articolo 1104 del Codice civile): la quota corrisponde ad una frazione matematica (un terzo, un quinto ecc.) del diritto sul bene che è determinata all’interno del titolo di proprietà della quota stessa; ove esistano incertezza (principalmente perché manchi indicazione nel titolo ovvero tale indicazione non sia obiettivamente chiara, le quote dei comproprietari si presumono uguali.

E’ opportuno precisare che la quota non determina una compressione del diritto di proprietà: infatti la proprietà della cosa spetta per intero a tutti i partecipanti alla comunione (articolo 1103), mentre la quota determina la proporzione del diritto di uso, di godimento e di partecipazione alle spese, come a dire che, concretamente, la quota costituisce “l’oggetto del diritto della comunione”.

Lo scioglimento della comunione

Ciascun comunista può chiedere, in qualunque momento, lo scioglimento della comunione (articolo 1111): se gli altri partecipanti si oppongono, la domanda viene indirizzata al Giudice, il quale ordina lo scioglimento e procede alla divisione.

La possibilità di scioglimento della comunione è uno degli elementi che distingue la comunione dal condominio: la comunione è una contitolarità “transitoria”, che può cessare in ogni momento per impulso di ciascuno dei comproprietari che chieda la divisione del bene.

Nel condominio, invece, la contitolarità è forzosa, necessaria e permanente, in quanto è destinata a durare fintantoché sussista il carattere di accessorietà e complementarietà delle cose comuni rispetto alla proprietà esclusiva (ad esempio, il singolo appartamento inserito nell’edificio condominiale): questo significa, in buona sostanza, che nessun condomino può rinunciare al cosiddetto “diritto di condominialità” sulle parti comuni se non cedendo la proprietà esclusiva (vendendo l’appartamento in condominio).

L’amministrazione della comunione

Tutti i partecipanti alla comunione hanno il diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune (articolo 1105).

L’atto con cui si esprime la volontà all’interno dell’assemblea della comunione si chiama (come nel condominio) deliberazione; ciascuna deliberazione è presa con le maggioranze via via indicate dalla legge in base al tipo di atto da compiere, calcolate non per “teste” (ossia in base al numero dei comunisti) ma per “quote”, cioè in relazione al “valore” di cui ogni partecipante è titolare.

Le deliberazioni dell’assemblea della comunione possono essere prese (articoli 1106-1108):

  • a maggioranza semplice: per gli atti di ordinaria amministrazione, per l’eventuale formazione del regolamento della comunione (che disciplina l’ordinaria amministrazione ed il miglior godimento della cosa comune), per la nomina di un amministratore (che può essere uno dei comunisti o un soggetto terzo);
  • a maggioranza dei due terzi: per gli atti di straordinaria amministrazione e per le innovazioni dirette al miglioramento della cosa comune;
  • all’unanimità: per tutti gli atti di disposizione della cosa comune, vale a dire per la vendita del bene, per la costituzione su di esso di diritti reali nonché per le locazioni di durata superiore ai nove anni.

Comunione e condominio

La disciplina della comunione (articoli 1100-1116) è legata a quella del condominio (articoli 1117-1138) da un rapporto di genere a specie: difatti l’articolo 1139 del Codice civile – norma di chiusura che coordina i due istituti trattati agli articoli immediatamente precedenti – rinvia alle norme sulla comunione in generale per tutto quanto non espressamente previsto dalle norme (speciali) sul condominio.

Il condominio è insomma una forma particolare di comunione, caratterizzata dal fatto che nel condominio coesistono parti di proprietà esclusiva (gli appartamenti, i box auto, le cantinole…) e parti di proprietà comune, accessorie e complementari a quelle di proprietà esclusiva

Collegamenti alle sentenze: laleggepertutti.it, avvocato.it.

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