La messa in mora del debitore

Studio Legale Abatematteo > Recupero Crediti > La messa in mora del debitore

Cosa significa “mettere in mora”?

Se tutti i tentativi di essere pagati “con le buone” per un lavoro svolto, per un’attività, per quanto concordato in un contratto o in un preventivo accettato o, ancora, per qualsiasi altra legittima ragione non sono andati a buon fine, se dopo un bel po’ tempo (non troppo, per non rischiare di “incappare” nella prescrizione del diritto di credito) chi ci deve dei soldi ancora si ostina a non pagarci per le più svariate e spesso ingiustificate ragioni, in tutti questi casi si pone purtroppo la necessità di agire in via formale per tentare di riavere indietro quello che ci spetta.

Praticamente ogni attività di recupero di un credito passa, inizialmente, attraverso il primo strumento utilizzabile che è quello della cosiddetta “costituzione in mora” (o più semplicemente “messa in mora”): si tratta di un atto scritto (lettera raccomandata, fax o posta elettronica certificata), a valenza ufficiale attraverso il quale il creditore (chi deve avere dei soldi) o il suo avvocato collega delle conseguenze di natura giuridica al ritardo nell’adempimento del debitore (chi deve dare dei soldi).

Cosa dice il Codice Civile?

Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto.

Non è necessaria la costituzione in mora:
1) quando il debito deriva da fatto illecito;
2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione;
3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore. 


Se il termine scade dopo la morte del debitore, gli eredi non sono costituiti in mora che mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, e decorsi otto giorni dall’intimazione o dalla richiesta.

A che serve la messa in mora?

La messa in mora ha la principale funzione di essere un’intimazione, una ”minaccia” ad adempiere l’obbligazione a cui è tenuto il debitore (di solito, appunto, il pagamento di una somma di denaro).

La minaccia consiste nel fatto che, se il debitore non adempie all’obbligazione nell’ulteriore termine concesso dal creditore , ci saranno una serie di conseguenze.

In particolare:

  • dall’ulteriore ritardo (mora) del debitore può decorrere l’applicazione degli interessi (moratori appunto);
  • l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (il fatto che, in un dato momento, il debitore non possa più, neppure volendolo, eseguire la prestazione), che pure non derivi da una causa imputabile al debitore già costituito in mora, non lo libera dall’obbligazione – come invece avrebbe fatto se si fosse verificata prima della messa in mora – a meno che lo stesso debitore non possa provare (con onere a suo carico) che l’oggetto della prestazione sarebbe comunque perito se si fosse trovato nella disponibilità del creditore (art. 1221 c.c.);
  • il debitore può altresì essere condannato (a seguito di una causa instaurata dal creditore) a risarcire il danno subito dal creditore per il mancato, puntuale adempimento: il danno si qualificherà sia come perdita subita dal creditore (danno emergente) sia come mancato guadagno (lucro cessante) (art. 1223 c.c.).

Quali sono gli elementi di una messa in mora?

La messa in mora si basa su questi elementi:

  1. la mora, ossia il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione (era concordato che il pagamento avvenisse il 15 del mese, o alla consegna della merce, o entro “tot” giorni e questa condizione non è stata rispettata);
  2. il ritardo è imputabile al debitore, nel senso che deriva da un suo comportamento (anche omissivo: quello che doveva essere fatto non è stato fatto);
  3. la forma scritta dell’intimazione indirizzata al debitore (si parla qui di “mora ex persona”, nel senso che la minaccia è specificamente indirizzata alla persona del debitore a cui si chiede – senza mezzi termini – l’adempimento).

Non sempre la messa in mora è necessaria – nel senso che, a volte, la legge considera il debitore già costituito in mora senza che sia avvenuta una (ulteriore) intimazione scritta. In particolare:

  • se esisteva già un termine per l’adempimento al cui scadere, ad esempio, il contratto prevedeva l’automatica costituzione in mora senza necessità di intimazione;
  • se il debito deriva da fatto illecito: in questo caso la legge (art. 2043 c.c.) determina automaticamente la responsabilità del debitore di risarcire il danno ingiusto – in quanto conseguenza di una condotta dolosa o colposa – patito dalla vittima-creditore;
  • se il debitore abbia già manifestato per iscritto la sua volontà di non adempiere l’obbligazione (“egregio creditore, non ti pago!”).

In tutti questi casi, non essendo necessaria la messa in mora del debitore, il creditore valuterà di agire direttamente per via giudiziale per il recupero del proprio credito (attraverso la costituzione di un titolo – che sia una sentenza o un decreto ingiuntivo – ovvero, se già in possesso di un titolo, mediante la cosiddetta esecuzione del titolo stesso, avvalendosi dell’Ufficiale Giudiziario per esperire, per esempio, un pignoramento).

Come si fa una messa in mora?

Per avere piena efficacia e validità legale, la messa in mora deve essere fatta per iscritto.

La costituzione in mora deve avere, inoltre, una serie di elementi (che fanno parte di una sorta di “struttura” fissa) imprescindibili, aventi la funzione di rendere inequivocabile l’intenzione del creditore di procedere, oltre un detto termine, alle azioni (legali) successive.

In buona sostanza, la messa in mora deve indicare:

  • la descrizione delle ragioni alla base dell’esistenza del diritto di credito (esempio: il giorno 1 febbraio è scaduta la fattura n. 10/2022, emessa per la fornitura della merce x, e fino ad oggi il debitore, pur contattato bonariamente, non ha pagato);
  • il riferimento alle norme del Codice Civile violate (articoli 1219 e seguenti): facoltativo ma utile;
  • il termine (ulteriore) concesso al debitore per pagare il suo debito (a scelta del creditore, di norma una settimana o poco più/meno);
  • l’anticipazione dell’intenzione che, decorso inutilmente il termine concesso senza il pagamento, si procederà con le ulteriori azioni per il recupero legale del credito.

Serve la raccomandata?

Sì, per la messa in mora serve la raccomandata (con avviso di ricevimento). O la P.E.C., acronimo di posta elettronica certificata, vale a dire un messaggio di posta elettrica inviato da una casella certificata e verso una casella certificata: occhio a non mandare una mail da una casella certificata a una ordinaria, o viceversa!

Chiaramente, per le importanti conseguenze che il Codice Civile collega all’inadempimento di una costituzione in mora, la prova che la stessa sia stata ricevuta dal debitore in una certa data è assolutamente indispensabile.

Un avviso ai furbetti alla lettura: non ritirare la raccomandata non serve a nulla, anzi, ha la sola conseguenza di “allungare” leggermente i termini di decorso degli effetti dell’avvenuto ricevimento – dieci giorni dal tentativo di consegna – peraltro non mettendo il debitore (e/o il suo avvocato) nelle condizioni di avere una pronta contezza dei termini della messa in mora per poterli eventualmente contestare.

In alcuni casi (si pensi agli avvisi di convocazione delle assemblee condominiali) il Codice Civile mette sullo stesso piano di raccomandata e p.e.c. il (buon vecchio) fax; apparentemente, anche questo sistema di invio avviene per iscritto e consente di “tracciare” da dove proviene la comunicazione e quando è stata ricevuta.

Nel caso, però, della messa in mora, il fax NON va utilizzato: come spiegato nel commento a questa sentenza del 2015 (https://www.studiocataldi.it/articoli/18968-attenzione-a-mettere-in-mora-l-assicurazione-via-telefax.asp, fonte studiocataldi.it, commento di Valeria Zepilli), i Giudici della Corte di Cassazione hanno rilevato che il fax non possa dare certezza che il ricevente abbia avuto piena conoscenza del contenuto messa in mora (si pensi se, per ipotesi, dalla stampa non si riesca a leggere bene quanto scritto nella lettera).

Ma l’avvocato chi lo paga?

Accade spesso che all’interno della messa in mora venga inserita la richiesta di rimborso delle spese legali richieste dall’avvocato per preparare la lettera inviata al debitore: certamente, se il debitore avesse adempiuto nei termini, il creditore non si sarebbe visto costretto a ricorrere alla tutela legale per domandare il ristoro di quanto dovuto.

Ciò detto, è necessario fugare ogni dubbio sul fatto che il compenso dell’avvocato per la messa in mora lo debba pagare il cliente-creditore, in virtù del mandato – anche solo stragiudiziale – conferito: quindi, se per ipotesi nella lettera di messa in mora al debitore è richiesto di pagare trecento euro, oltre che cento euro di spese legali, il debitore che paghi solo trecento euro nel termine è liberato dall’obbligazione di debito (e il creditore non può rifiutarsi di accettare la prestazione).

E’ pur vero che, a quel punto, il creditore può (potrebbe) instaurare una causa per richiedere i danni consistenti nel rimborso di quanto pagherà al suo avvocato per la lettera di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1223 c.c.; e un provvedimento giudiziale (una sentenza) può (potrebbe) riconoscergli il diritto a tale rimborso; ma nella prassi è chiaro che si dovrà valutare la convenienza di tale azione rispetto all’entità del rimborso da ricevere.

E’ da dire, comunque, che nella generalità dei crediti non sempre agevolmente recuperabili (crediti “incagliati”, oggetto di cessioni plurime, che fanno riferimento a persone fisiche o peggio giuridiche pluri-indebitate), la prospettiva di ottenere anche solo la somma relativa al credito (che si definisce “sorte capitale”) con la messa in mora possa essere considerata di per sé un buon risultato.

Related Posts

Leave a Reply

Archivio Articoli